La forza delle radici Venete

Dal libretto realizzato per il Quarantennale dell’Associazione dei Veneti a Roma, a cura di Isabella Tegani e stampato da Eurocromolibri, presentiamo qui sotto il testo del prof. Scandaletti paolo.

 

Il senso storico della cultura veneta

 

Quest’anno l’Associazione dei Veneti a Roma compie quarant’anni. Dal 1981 ad oggi   proprio un bel traguardo! Lei non solo stato molto attivo all’interno dell’Associazione ma ha assunto il ruolo di Presidente tra il 1998 e il 1999. Cosa ricorda di quegli anni e che ruolo ha avuto l’Associazione?
Ricordo di essere entrato a far parte dell’Associazione dei Veneti a Roma grazie all’invito fattomi da un caro amico: lo scrittore e storico Alvise Zorzi. Eravamo colleghi professionali alla Rai. Il ruolo di Presidente dall’Associazione l’ho tenuto per poco tempo, qualche mese, perché  in direzione generale avevo preso delle iniziative che richiedevano trasferte e totale impegno. Ho comunque partecipato molto volentieri ai Consigli e alle manifestazioni dell’Associazione, che diventavano luoghi in cui ci si trovava con brave persone, molte davvero simpatiche. Dal 1981 ad oggi, a Roma come in Veneto, sono stati fatti significativi incontri che hanno tenuto viva la nostra identità  e la nostra memoria. Non solo di noi che abitavamo a Roma, ma anche degli altri che simpaticamente incontravamo. Credo che da questo punto di vista l’Associazione abbia funzionato molto bene. C’  da sottolineare pure la presenza dei Veneti a Latina e nell’Agro Pontino che, come sappiamo bene, sono figli dell’emigrazione di nostri poveri contadini. Comunque, tutti insieme, abbiamo segnato una presenza significativa anche per la nostra “nuova” città.

Che cosa diventa nei veneti il senso di appartenenza alla loro terra antica?
Naturalmente   la nostra storia, della terra e della gente dove siamo nati, a darci identità . Ed é una storia assai lunga e ricca di pagine significative. Quest’anno la ricorrenza dalla costituzione dell’Associazione dei Veneti a Roma coincide con il compleanno di Venezia che compie 1600 anni. Gli studiosi concordano nello stabilire l’anno della sua fondazione al 421 d. C. In realtà anche precedente, perché  i contadini della bassa padovana, per integrare la loro povera alimentazione, affamati, si sono avvicinati alle basse acque della laguna ed hanno scoperto che c’erano crostacei e pesciolini, quindi una preziosa fonte di alimentazione, cui accedere con poco sforzo. I primi abitanti della laguna sono loro, figli della gente che stava a Padova e a Este da mille anni prima di Cristo. Poi arrivata sul Canal Grande quella benestante, in fuga dall’entroterra per l’arrivo dei Barbari; che in seguito ha dato origine alla gloriosa e fastosa città di san Marco. Importato pure lui. Per  quello che lega i veneti, il senso di appartenenza alla loro terra antica,   una cultura della vita, della società  e dello Stato. Questa mi sembra la matrice del sentirsi simili e uniti. C’  l’esempio della nascita dell’Università di Padova nel 1222: la seconda in Italia dopo Bologna. Lo Stato Marciano, che godeva di molte risorse e ricchezze, gestiva i commerci, il potere politico e militare da Venezia; mentre per formare la classe dirigente aveva assegnato il delicato compito all’Università  patavina. Delegati dal Maggior Consiglio, due Riformatori dello studio gestivano al meglio l’Ateneo e si preoccupavano di aver ben accolti studenti da tutta Europa. I professori erano i migliori. Si cercavano fra quelli che operavano nel continente europeo e venivano ingaggiati proprio per formare la loro classe dirigente, spesso di grande qualità . Quando Galileo giunge a Padova chiamato da Pisa, la facoltà  di medicina già  aveva i migliori maestri d’Europa. Tutto ci    stato voluto e sostenuto dal governo di San Marco. E non va proprio dimenticato. Non   che i nobili fossero tutti uomini colti, qualcuno di certo lo era; ma avevano capito bene il valore della cultura nel formare la classe dirigente e, diciamolo con il linguaggio di oggi, i ruoli professionali nello Stato. Questa   un’idea alta e precisa della mano pubblica, del potere pubblico. Passano cos  in secondo piano pure le storie con le prostitute di lusso, appassionate e libertine. E ce ne sono molte altre, quelle che operano coi clienti delle osterie dopo cena, che fanno da cornice alla società veneziana. Ma la sostanza dello Stato, nasce dalla consapevolezza del ruolo della cultura, dalla cultura del potere. Da sempre con carattere e dimensione internazionale. Valorizzazione dello Stato, capacità  di espanderlo conquistando mercati ; avendo in parallelo uno “strumento”: l’università che forma la sua classe dirigente e le professioni per guidarne la società . Questo mi sembra fondamentale: non se ne parla molto, ma i frutti della scelta strategica si sono visti. Andrea Gritti, il doge – commerciante per vent’anni a Costantinopoli, che dal Palazzo fa nascere con l’amico Pietro Bembo la Libreria Marciana,   davvero esemplare.

Il Veneto caratterizzato da una lunga e nobile storia: quali sono i valori trasmessi dai veneti a Roma e quelli emigrati nel mondo?
Il primo carattere  la vita con la religione. La Serenissima Repubblica non era uno Stato ateo, ma non era nemmeno uno stato confessionale, dove i poteri pubblici sono sottomessi a quelli religiosi. Ad es. frà Paolo Sarpi ,difensore delle prerogative della Repubblica veneziana, ha fatto vedere i “sorci verdi” a papa Paolo V opponendosi al centralismo monarchico della Chiesa cattolica. Quindi, visione laica ma sostanza religiosa. Un’ altro esempio   sant’Antonio da Padova, che arriva in città nei primi anni del 1200. Era figlio dell’amministratore della reale casa portoghese, a Lisbona diviene frate da laureato a Coimbra, allievo di grandi maestri. Quando giunge a Padova, mandato da Francesco dopo il loro incontro al capitolo di Assisi, fonda la facoltà teologica. Oggi la chiamiamo cos , ma all’epoca era lo “strumento” per formare culturalmente i suoi frati; che, oltre ad essere poveri, erano anche ignoranti. Quindi li accultura. Come? Chiama i grandi maestri del neonato studio laico ad insegnare ai suoi confratelli e, di l  a poco, sarà l’università laica a volere i frati colti del Santo ad insegnare nell’ateneo. Questo scambio di culture la dice lunga, in parallelo a quello che dicevamo prima, sui rapporti fra il potenziale religioso e quello politico, la formazione e la cultura della classe dirigente. Una linea qualificante la capacità di mettere insieme il meglio della vita pubblica con la religione. Beh, questa non una “roba da poco”. Un’altra sintesi che ha funzionato bene, identificando caratteri e valori della civiltà veneta, é la comunità sociale e la solidarietà. Non so se questo   nato in osteria, probabilmente anche in osteria (vedi le casse peote), ma la gente nei paesi, laddove era necessario, correva a dare una mano a quelli in difficoltà. In altri termini, la solidarietà era poco predicata ma molto praticata. L’aiuto a chi non ce la faceva, per chi stava male o era povero, divenne una realtà praticata e diffusa. Storie di questo genere erano abituali (non esclusi i casi dei ricchi nobili e mercanti) tra la gente comune, abitando una casa vicino all’altra, in città o nelle campagne. Un altro segno del Veneto, dei caratteri e dei valori che identificano la sua esperienza storica,   la libertà della cultura. La libertà culturale, ad. es. all’università, aveva un grande valore. Avete presente Galileo, innovatore della cultura scientifica ? Galileo stravolge il potere degli uomini di cultura di quel tempo. All’università di Padova c’era il professore di filosofia, insegnando l’antichità, che guadagnava 2000 ducati all’anno e Galileo ne ricavava 200, insegnando fisica, ciò il futuro. Galileo   il rivoluzionario che ha aperto nel Seicento i confini europei alla cultura e della ricerca scientifica. Sebbene in seguito si sia trasferito a Firenze, per pensare e scrivere i trattati, tutta la sua formazione e l’esperienza piena del ricercatore, l’ampliamento dei confini delle ricerche scientifiche, il guardare all’universo e alle realtà terrene (comprese la convivente e le “morose”), avvengono nell’università di Padova: qui gli   stato consentito ed era libero di farlo. Questo è il punto e non era cos  dappertutto in Europa.  E’ la Repubblica di San Marco, con il potere dei dogi, che ha sempre tutelato questo valore e identità innovativa della sua università; anche chiamando i migliori docenti da tutti i paesi d’Europa. L’ultima annotazione  è sullo stato aconfessionale. La Basilica di San Marco funzionalmente era la cappella di Palazzo Ducale. Il parroco era il cappellano di Palazzo Ducale, eppure lo Stato veneziano non é mai diventato uno stato confessionale: era orgogliosamente laico. Nel 1500 moltissime persone , provenienti da tutta Europa, hanno aperto le loro tipografie e case editrici a Venezia, perché le si poteva pubblicare senza censura. Emblematico il caso del grande colto editore Aldo Manuzio. E non  secondario per identificare la qualità dello Stato, la libertà di pensiero e di parola. C’  da dire pure che Venezia era una città internazionale. Enrico III di Valois, già re di Polonia, venendo da Varsavia e diretto a Parigi per prendere anche quella corona, passa da Venezia perché voleva vedere com’era fatto il governo di quello stato. Noi lo ricordiamo soprattutto perché ha trascorso il dopo cena con Veronica Franco, in lieti conversari poetici ed erotici. Ma lui era giunto soprattutto per vedere come era la “magia dello Stato veneziano”. Ci  vuol dire che c’era pure la conoscenza ed il riconoscimento di San Marco da parte degli altri stati.

Qual’è il fil rouge che lega i veneti che si sono trasferiti dalla loro terra d’origine?

Credo sia proprio la memoria dei fatti e dei personaggi che abbiamo rammentati fino a qua, e ce ne sono ancora altri. Non tutti ben conosciuti, ma i veneti hanno viva in loro la consapevolezza dell’essenziale di quella mano pubblica e di quella cultura; e ne vanno orgogliosi.   l’orgoglio di appartenere a quella grande storia. Il fil rouge che lega i veneti a Roma nello Stato e della storia che hanno alle spalle. Perché il mio libro “Storia di Venezia”, che credo sia alla VIII edizione ed è anche tradotto in tedesco, ha avuto da anni cos  tanto successo, soprattutto  in Italia? Perché  la gente aveva bisogno e voleva saperne un po’ di pi ; poiché quel che già sapeva la rendeva appunto orgogliosa,   andata a conoscerne la storia. La memoria di quei fatti e personaggi, il senso di appartenervi e l’intento di tenere viva questa memoria incontrandosi: ecco dov’  la base dell’Associazione dei Veneti a Roma. E con la crisi culturale, che attualmente colpisce soprattutto i giovani, credo che tenere viva questa memoria non sia solo un piacere ma pure un dovere.  Anche la musica , nella storia della civiltà veneta, ha un ruolo fondamentale. Ci si rende davvero conto del ruolo che hanno avuto, nel mondo, Antonio Vivaldi e Giuseppe Tartini? Vivaldi per mantenersi insegnava alle ragazze di Riva degli Schiavoni e Tartini, che ha scritto musiche raffinatissime,   stato a Padova per cinquant’anni maestro di Cappella alla Basilica del Santo; insegnando a cantare musica sacra ai frati e agli allievi. Grazie alla documentazione pubblicata da Claudio Scimone, caro amico dai tempi giovanili, sappiamo che Tartini a fine mattinata passeggiava in Prato della Valle con il professore di matematica dell’università e parlavano di musica e matematica. E cos  sorge una domanda che noi ci dovremmo porre: “Come mai i Solisti veneti hanno avuto un successo cos  ampio?” Credo sia uno dei componenti di quella identità  veneta della quale abbiamo parlato prima, che si esprimeva nello Stato, nella cultura, nella libertà della cultura; ma anche nell’altissima qualità  della musica prodotta dai veneti. Vivaldi   un veneziano puro sangue, Tartini viene dall’Istria, che a quel tempo era veneziana e di mestiere vince l’incarico di maestro di cappella al Santo. Cos  tornano gli incroci tra cultura laica, i servizi della chiesa, i frati e i maestri. L’esempio del maestro che dialoga con il matematico indica che siamo a livelli culturali altissimi. Non stiamo parlando di una Venezia o di un Veneto fatto di bei palazzi e di feste mondane, ma rammentando dei pi  alti livelli della cultura umana. Galileo, Vivaldi, Tartini sono le vette della scienza e della cultura musicale. Senza dimenticare gli esempi eclatanti della pittura di Tiziano, Tiepolo e Veronese, dei Bellini e di Canaletto. Le architetture e la scultura del Palladio. Questo è il Veneto che ci portiamo nel cuore e del quale, naturalmente, andiamo orgogliosi.

Il Veneto, proprio nei momenti difficili, ha mostrato di sapersi “rimboccare le maniche”, non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà e affrontare le situazioni al meglio. Può farci qualche esempio?

Sarebbero molti gli episodi da ricordare, come quello della sciagura della diga del Vajont, nel 1963. Aggiungerei la tragica alluvione del 1966. Venezia era allagata, i livelli dell’acqua alta avevano raggiunto i 194 cm. Ma anche il territorio padovano lungo il Brenta era sott’acqua. Stra è famosa per la presenza di Villa Pisani, ma anche perché nei dintorni, allora come oggi, si producono le scarpe pi  belle di Parigi. Nel 1966 c’era l  una filiera produttiva straordinaria e molti artigiani avevano il proprio laboratorio in casa. La gente faceva tomaie, suole e diversi componenti e poi li vendeva a chi aveva la bottega, ai consorzi o cooperative, ai marchi dell’alta moda francese. Durante quella sciagura le persone si aiutavano vicendevolmente. Ad esempio, chi era in crisi perché non poteva utilizzare il macchinario di produzione veniva aiutato dal vicino di casa che, invece, aveva il macchinario funzionante. E aiutati dalle banche cooperative locali presto si riattrezzavano. Questo, per me,   uno dei pi  clamorosi esempi che storicamente rievoca la solidarietà connaturata nella popolazione veneta: gente che lavora, che campa guadagnandosi da vivere e che sapendo di avere uguale condizione, modesta e a rischio, in caso di bisogno non si volta dall’altra parte ma corre a dare una mano. Ricordo molto bene quanto ora raccontato perché all’epoca ero cronista dell’Avvenire d’Italia e vedere questa solidarietà diffusa mi colpì molto. Noi giornalisti scrivevamo quelle cronache cercando di cogliere anche significati e valori di quel modo di fare. Se posso permettermi una piccola aggiunta, osservando come si muove il Presidente della Regione Veneto Zaia (che personalmente non conosco), trovo ammirevole il suo ricollegarsi a quei valori del Veneto e il suo aiutare subito coloro che sono in difficoltà. Osservando questo modo di fare politica regionale, nel pluralismo territoriale ed economico, lo vedo ispirarsi a quelle radici antiche di cui abbiamo sin qui detto.

Lei ha dedicato diversi suoi libri alla storia di Venezia e del Nord Est. Quali sono, secondo lei, le radici antiche dei valori veneti?

Alcune le ho già indicate. Vorrei aggiungere che il segno distinguente   che Venezia, al di l  del Canal Grande, dei palazzi e dei Dogi,   una realtà nata dal basso, cioè dalla gente povera, che andava in laguna cercando di procurarsi il cibo per sopravvivere, vale a dire il pesce. Quella Venezia è nata dal basso generà una democrazia primordiale e quando i nobili presero sopravvento finirono per comandare loro. Infatti, il 95% dei veneziani che mantenevano la città, cioè  la gente comune, non contava niente nello Stato; decidevano solo i 1200 nobili, tali per eredità, non certo per elezione, che si riunivano nel Maggior consiglio a Palazzo Ducale.   un po’ poco per dire che cos’è  ci fosse democrazia compiuta a Venezia. Credo che i veneti che si ritrovano a Roma e i romani “colti” siano consapevoli della storia di cui stiamo parlando. Anche se i più conoscono soltanto Palazzo Ducale, San Giorgio, la Fondazione Cini e Palazzo Grassi; che ne rappresentano l’aspetto più appariscente.

Dialogo e confronto: può  farci degli esempi presi dalla storia di Venezia e da altri pi  recenti?

Sia allora nel Maggior Consiglio come ora nei consigli comunali di paese 20 21 o di quartiere, osservando chi opera in queste realtà  diciamo istituzionali, si tocca con mano come sia gente che crede nel dialogo, nel confronto e, alla fine, nel voto a maggioranza. Sono figli della cultura di cui abbiamo parlato e si sposa perfettamente con lo Stato di diritto che   nato l’altro giorno. Stato che si basa certo sui numeri, ma se   solo su quelli diventa asfittico. Quando i numeri sono la modalità per scegliere il vertice che gestisce i valori che la tua storia ti ha portato, ti ha regalato, allora il dialogo e il confronto diventano sostanza. Ben altra cosa. Diventano premesse di qualità da questo punto di vista. Ho un nipote che   uno dei dirigenti di alto livello dei comuni veneti. Quando gli chiedo come funziona lui me lo racconta: ci sono le eccezioni, ma la regola é che ai Consigli parlano l’avvocato, il professore e il ciabattino, il messo comunale e quello che ha fatto la terza elementare perché alla quinta non ci   arrivato. Ma si rispettano tutti. Nei consigli comunali e nelle giunte si ragiona, ci si confronta: cioè  un metodo, come dire, della sostanza democratica che si   perpetuato. E’ da ricordare che all’interno dell’organizzazione dello Stato di Venezia c’erano delle regole ferree, alle quali il nobile e chi governava non poteva sgarrare. La struttura statuale, diciamo cos , di Palazzo Ducale era un’organizzazione davvero seria: gli Inquisitori, che erano “a far le pulci”, non guardavano in faccia nessuno, cominciando dai signori nobili. Nella gestione dello Stato le regole valevano per tutti, a cominciare dai componenti dell’oligarchia. Se uno andava fuori pista veniva punito. Questa rigorosità credo sia anche il rovescio della medaglia di cui tutti parlano, tutti ascoltiamo; ma quando siamo arrivati alla sintesi delle scelte applicandole, regola aggiuntiva non si sgarra, si rispettano, si applicano. C’era quella bocca della verità dove il cittadino qualsiasi infilava un biglietto per segnalare che il tal dei tali ruba. Subito i 10 andavano a vedere se era vero e se era cos  gli tagliavano le mani. Qua non si scherza. Sembra spionaggio, in realtà una buona gestione dello Stato: fatto in quei tempi e in quel modo ma funzionava. Ad uno dei nobili infedeli han tagliato la testa, nella Sala del Maggior Consiglio tra i busti marmorei ce ne uno con il capo coperto perché stato decapitato.

 

Qual   un luogo del Veneto che ha a cuore e custodisce nella valigetta dei ricordi?

Sicuramente la mia Padova, perché sono nato e cresciuto l . Venezia dove ho studiato e dove ho svolto attività associative prima di lavorarvi. Ricordo con affetto che all’epoca ero un giovane del movimento studentesco dell’azione cattolica e come tutti i giovanotti eravamo un po’ rivoluzionari. I vescovi si preoccupavano e una domenica il Patriarca di Venezia che era Roncalli, hai presente papa Roncalli? Convoca i dirigenti delle associazioni giovanili dell’Associazione cattolica in patriarchio. “Mi dicono che siete rivoluzionari. Raccontatemi cosa fate e dite, cos  capisco anch’io un po’ di pi …” Dopo aver ascoltato, dice: “Tutto qua? Si: avete opinioni diverse…(a quei tempi il capo dell’azione cattolica era Gedda, un conservatore). Ma continuate a fare bene quello che fate. So che siete bravi, generosi ecc…magari per parlare con i capi usate prudenza, buone parole. Ma dite la verità. Dite sempre la verità.” Avendo lavorato prima con l’Avvenire Italia di Bologna, seguivo anche il Veneto e Venezia nella neonata programmazione regionale. Mi hanno chiamato nel settembre del ‘68 al Gazzettino per fare l’inviato, quindi ho lavorato ancora a Venezia e nel Veneto; ma soprattutto con inchieste nella realtà italiana. Credo di aver conosciuto bene la città frequentando i baccari e le osterie, cioè andandola a cercare. Abitavo all’hotel Europa-Regina, come dire nella parte alta, ma mi piaceva andare in giro a capire come erano i veneziani che vi abitavano da decenni…  l  che trovi quello che parla solo veneziano e non sa una parola di italiano. Un’altra grande esperienza che ricordo volentieri   palazzo Grassi, che oggi   un mito in mano al francese che se lo   comprato. Allora, era in apnea, proprietà della Montedison. Il presidente l’aveva dato al figlio come “giocattolo” perché non si muovesse a Milano nelle società di casa…. Valeri Manera parlando con il proprietario di Palazzo Grassi dice che   un peccato che un cos  bel palazzo non venga adeguatamente valorizzato e gli propone di rilanciarlo lui. Mario a Roma me ne parla: “Forma tu un gruppo che se ne curi”. Lui prova a parlare con imprenditori e uomini di banca nel Veneto per la gestione, invece io con amici che lo rilancino con convegni culturali, mostre e concerti. Vedo prima Giuseppe De Vita condividendo il proposito, a Padova Claudio Simone, a Roma Giovanni Battista Marini Bettolo presidente della Pontificia Accademia delle scienze, il regista di teatro Maurizio Scaparro e l’editore Neri Pozza, Carlo Casciani preside di medicina alla neonata Tor Vergata, Romano Prodi ne   entusiasta. Queste e altre persone sono disponibili a formare un consiglio per individuare e progettare le attività culturali a Palazzo Grassi. Il segretario generale   Lauro Bergamo, ex direttore del Gazzettino, mio caro amico, quindi sintonia, e ci muoviamo. Mettiamo in piedi per tre anni mostre di grande pittura, animati convegni, dibattiti scelti e guidati da persone di livello il pi  alto. Hanno fatto questa attività per tre anni con il seguente compenso: zero lire. Tre volte l’anno con le mogli, ospiti 22 23 al Regina per tenere le nostre riunioni. Met  anni ’80. Poi il rovescio della medaglia, Valeri Manera dice che abbiamo finito e che bisognerebbe che venisse istituzionalizzata questa bellissima esperienza…   il proprietario che lo offre agli Agnelli. Gianni Agnelli sapeva bene di queste iniziative culturali e del mondo veneto che le sosteneva. Manda a casa mia il direttore finanziario, Paolo Mattioli, il n.2 dopo Romiti alla Fiat, mi dice: l’avvocato mi ha detto di riferire a te e ai tuoi amici di Venezia che se i veneti imprenditori e banchieri vogliono comprarlo lui rinuncia all’acquisto, e voi ne fate l’uso che volete. Allora ne parlo subito al presidente della Regione Carlo Bernini, amico fin dai tempi dell’università. Parla con politici e imprenditori veneti e…alla fine non se ne fa niente. Allora Agnelli se lo prende e ne avvia la gestione culturale. Poi   comperato dal francese che l’ha fatto diventare quello che   oggi:   uno dei punti alti di Venezia nel mondo. Concludo che torno a Venezia molto volentieri, non solo per convegni ecc.. ma ci torno con amici romani per accompagnarli a vedere la Venezia meno conosciuta e pi  autentica. Appunto: non solo quella del Canal Grande e dei Palazzi, dei pittori celebri; ma anche quella dei campielli e delle osterie dove, mangiando il men  popolare, incontri i vecchi veneziani.

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